sabato 30 marzo 2013

"Chi sono io? Chi sono diventata? ... Ho aspettato un'eternità che qualcuno mi dicesse una parola affettuosa... qualcuno che dicesse 'Oggi ti amo tanto', come sarebbe bello, devo solo alzare la testa e il mondo sempre davanti ai miei occhi mi sale nel cuore ..." - da "Il cielo sopra Berlino" di Wim Wenders E' autunno, nelle opere di Veronica Mazzucchi. Un preludio all'inverno. La pioggia non lava via il dolore dalla pelle, fragile crosta di roccia spaccata sotto la quale scorre il magma del sangue. Una pelle predestinata e contaminata dalla fine, che già accoglie sulla propria superficie il sole morente dell'ultimo giorno. E' il deserto. Un silenzio ovattato, fermo nella sua luce è il teatro di questi burattini che si contorcono lentamente e dolorosamente come creature ai margini di strade, una vita infinitesimale inconosciuta, come di certi batteri della cui esistenza si sa solo se visti attraverso il microscopio. Vermicolanti, eppure immote, un lento movimento nell'abbandono. Non consola il grembo materno, è un miraggio ingannevole, non scalda la sofferenza silente, privata, lontano dalle strade percorse da moltitudini di piedi distratti e distanti, indifferenti. La libertà è un volo bloccato da uno spazio chiuso, claustrofobico, una gabbia arrugginita dal tempo, l'edera ci cresce intorno, il legno si erode, il ferro arrugginisce, estruso dall'anima, a contatto con l'aria assume la forma dell'urlo. Già l'idea dell'amore è sofferenza, preclusa da un involucro che genera il dolore. Il cielo è lontano, l'azzurro è lontano, solo il rosso rimane: il sangue. Vorrebbe volare, ma è privo di un'ala. L'angelo è imbrattato di terra, è una spirale di fumo, si contorce, si indurisce di essenza impalpabile, è il fango della Creazione, un fango che forse ha perso Dio, cieco, nel vuoto. A volte intravvedi la struttura, labile e materica nello stesso tempo, stadio larvale di sofferenza, di bozzolo intimidito, pudico, che si nasconde come animale ferito. Se il corpo supera lo stadio di angelo ferito, l'ala mancante e la madre illusoria, il ventre rigonfio di dolore si affaccia titubante al flusso della vita e il corpo diviene carne. Ma subito l'autodistruzione emerge da profondità nascoste e il sangue vuole uscire, lacera la pelle, la carne, e nulla può ricostituirlo, la ferita è profonda. Il corpo si incrina. ... e con Veronica: "Fragile, cammino in punta di piedi in attesa di tornare a volare".

M.Elena Danelli, 30 marzo 2013